mercoledì 9 dicembre 2009

inserimento sociale del disabile

Il mondo della disabilità ha vissuto negli ultimi 30 anni profonde trasformazioni e a partire dagli anni '70 prende corpo un'azione di rinnovamento dei servizi e degli interventi che coincide con la prima fase de l decentramento delle competenze dallo Stato alle Regioni. Il processo d'inserimento è andato affinandosi in processo di integrazione. Ciò è avvenuto con maggiore attenzione nelle scuole, ma si cerca di affermarlo anche nel mondo del lavoro, nell'ambito del tempo libero, nello sport, nella cultura. Il danno o la menomazione possono creare la disabilità, ovvero una riduzione della capacità di svolgere un'azione al pari di una persona sana. Quindi la disabilità crea il presupposto per l'handicap che si realizza ogni qualvolta l'ambiente in cui vive il disabile ponga barriere architettoniche, legislative, psicologiche o socio-culturali che gli impediscono o gli ostacolano il normale inserimento nella società. L'handicap, quindi, va pensato come il risultato dell'impatto tra disabilità e struttura sociale.
Il nuovo documento dell'OMS (organizzazione mondiale della sanità), non si riferisce più a un disturbo strutturale o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato considerato di salute. Il nuovo documento sostituisce i termini "menomazione", "disabilità" e "handicap", che indicano qualcosa che manca per raggiungere il pieno funzionamento, altri termini come: funzioni corporee, strutture corporee, attività e partecipazione, fattori ambientali. Si vogliono evidenziare gli aspetti positivi e quindi di valorizzazione del singolo. Tutto questo vede al centro l'attività che può essere più o meno sviluppata a seconda delle condizioni proprie dell'individuo, ma anche derivanti dal mondo esterno. L'OMS fornisce una definizione coerente: è persona disabile colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzante o progressiva che a causa di difficoltà di apprendimento di relazione o difficoltà lavorativa è tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. Questa definizione, quindi, si propone, da un alto, di superare un concetto medico, dall'altro sottolinea che la malattia è il presupposto per l'handicap, ma è l'ambiente a generarlo. Tutto questo fa attribuire alla struttura sociale un ruolo fondamentale nel determinare la situazione di svantaggio. L'handicap, quindi, non va riferito alla persona, ma piuttosto ad una relazione ed a una situazione delle quali vi è un dislivello spesso insuperabile fra domanda di prestazione e capacità di risposta. La conseguenza è che non esiste il disabile, ma colui che si trova in una situazione o in un contesto di handicap. Si deve quindi creare una situazione ambientale e degli strumenti in cui il portatore di handicap possa operare nella società. Perciò il disabile non va visto come assistito, ma come persona. Se la persona è un'unità interattiva, centro di relazioni sociali, rifacendosi ai principi costituzionali dell'art. 2 dei diritti inviolabili emerge: la necessità di garantire i diritti della persona anche nella formazione sociale, ma nello stesso tempo riconosce nella formazione sociale un ruolo fondamentale per la formazione della personalità. In tema dei diritti sociali assume fondamentale importanza l'art. 3.2 della Costituzione, dove si afferma: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, sociale ed economica del paese. Da questo articolo emerge il principio dell'uguaglianza sostanziale che prevede di colmare le distanze tra disabili e normodotati.
Il progetto d'integrazione sociale da importanza non solo all'inserimento nella scuola e nel lavoro, ma anche nella vita familiare e a tutte quelle attività ricreative, sportive e culturali. Emerge quindi la necessità di una programmazione coordinata che coinvolge i vari settori pubblici e privati, tenendo sempre conto del nucleo familiare del disabile. L'integrazione nella famiglia, scuola, lavoro, rinvia all'elezione di un dato modello culturale di "normalità" in cui la persona disabile deve uniformarsi se vuole integrarsi. Esistono quattro principi fondamentali per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali:
  • principio della non discriminazione: la società deve essere messa in condizione di arricchirsi culturalmente delle diversità;
  • principio della pari opportunità: azioni che tendono a eliminare lo svantaggio derivante dalla situazione di disabilità;
  • principio delle maggiori gravità: azioni rivolte a risolvere situazioni di bisogno che gravano sulle persone disabili e
  • principio della concreta integrazione: potenziare i controlli inerenti l'attuazione delle leggi, i finanziamenti e un'azione diretta in tutti quei settori innovativi che possano garantire un'azione di vita integrata.
E' necessario creare programmi e progetti che coinvolgano in maniera attiva famiglie, disabili, enti locali, asl, cooperative, associazioni...;poiché con la partecipazione degli utenti si individuano meglio i bisogni e si verifica l'efficacia dei servizi e degli interventi. Di conseguenza perché l'utente possa essere coinvolto è necessario che sia assicurata l'informazione e la comunicazione che assumono valore di diritto del cittadino.


“INTEGRAZIONE SOCIALE DEL DISABILE” “INTEGRAZIONE SOCIALE DEL DISABILE” “INTEGRAZIONE SOCIALE DEL DISABILE” “INTEGRAZIONE SOCIALE DEL DISABILE”

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“INTEGRAZIONE SOCIALE DEL DISABILE”

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lunedì 7 dicembre 2009

la disabilità nella storia


Finalmente oggi le persone diversamente abili si stanno riappropriando dei loro diritti, le leggi si evolvono e la gente sta imparando a capire e a rispettare chi in fondo non è affatto "diverso". Ma non è stato sempre così. I disabili, nel corso della storia, ne hanno subite di tutti i colori. Nell'antica Roma i portatori di handicap venivano eliminati perché ritenuti improduttivi, nell'antica Grecia le cose non andavano meglio: i bambini nati con disabilità fisiche o mentali, venivano lasciati fuori casa in balia delle intemperie e lasciati morire. Nel Medioevo, invece, coloro che avevano la sfortuna di nascere con deformità o deficit mentali, venivano scherniti, umiliati, derisi e le loro madri venivano uccise per aver dato alla luce dei "mostri". L'olocausto nazista, inoltre, cominciò con lo sterminio dei disabili, uomini, donne e bambini, ritenuti malsani e indegni di vivere. Per eliminare i disabili adulti fu sperimentato un gas asfissiante in cristalli volatili. La prima camera a gas fu allestita tra la fine del 1939 e l'inizio del 1940, nei locali del carcere di Brandeburgo. Il nazismo si prefiggeva come scopo principale di migliorare la razza germanica, coltivando e favorendo i caratteri ereditari favorevoli e impedendo lo sviluppo dei caratteri ereditari sfavorevoli. Si contano oltre settantamila persone disabili sterminate.

domenica 29 novembre 2009

i bambini con sindrome di Down


La sindrome di Down è una condizione genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più: invece di 46 cromosomi nel nucleo di ogni cellula ne sono presenti 47, vi è cioè un cromosoma numero 21 in più; da qui anche il termine trisomia 21. Genetica non vuol dire ereditaria: infatti nel 98% dei casi la sindrome di Down non è ereditaria. Il nome "sindrome di Down" deriva dal nome del dottor Langdon Down, che per primo nel 1866 riconobbe questa sindrome e ne identificò le principali caratteristiche.
Le cause precise che determinano l'insorgenza della sindrome di Down sono ancora sconosciute. Numerose indagini hanno comunque messo in evidenza che l'incidenza aumenta con l'aumentare dell'età materna. Questo non esclude che nascano bambini con sindrome di Down anche da donne giovani, ma una donna più anziana ha maggiori probabilità. L'altro fattore di rischio dimostrato è avere avuto precedentemente un figlio con la sindrome di Down. La sindrome di Down può essere diagnosticata anche prima della nascita, intorno alla 16a-18a settimana di gestazione con l'amniocentesi o il tri-test. Quest'ultimo è un esame del sangue materno che fornisce una risposta che indica la stima della probabilità che il feto abbia una trisomia 21 oppure no.
Lo sviluppo del bambino con sindrome di Down avviene più lentamente, ma secondo le stesse tappe degli altri bambini. I bambini con sindrome di Down crescendo possono raggiungere, sia pure con tempi più lunghi, conquiste analoghe a quelle degli altri bambini: cammineranno, inizieranno a giocare, a correre, a parlare...Nella comunicazione, però, le difficoltà sono più accentuate: mentre un bambino "normale" pronuncia le prime parole in media a 14 mesi, un bambino con sindrome di Down lo fa in media intorno ai 18 mesi, e se il primo esprime i suoi bisogni a gesti a 14 mesi circa, il secondo lo fa solo a 22 mesi circa. E' importante ricordare che ogni bambino è diverso dall'altro e necessita quindi di interventi che rispettino la propria individualità e i propri tempi. La maggior parte delle persone con sindrome di Down può raggiungere un buon livello di autonomia personale, imparare a curare la propria persona, a cucinare, a uscire e fare acquisti da sola. Possono fare sport e frequentare gli amici, vanno a scuola e possono imparare a leggere e a scrivere. E' stato dimostrato in numerosi studi che un bambino o un adulto con sindrome di Down saranno accettati se si comportano in modo accettabile e adeguato socialmente; la loro accettazione, quindi, non dipende dal loro aspetto o al grado di ritardo mentale che hanno. Una persona con sindrome di Down potrà avere una vita soddisfacente se i suoi genitori cureranno, fin dai primi anni di vita, lo sviluppo delle capacità autonome e le regole di un comportamento sociale maturo. Queste competenze sono indispensabili per un buon inserimento nella scuola e nel mondo del lavoro, ma soprattutto per favorire una sicurezza e una stima di sé e delle proprie capacità. Esistono alcuni suggerimenti per i genitori:
  • la gentilezza: è importante che i genitori si rivolgano con gentilezza nei confronti del proprio figlio, facendogli capire ciò che si aspettano da lui e che si comporti bene. Così facendo è insegnato loro anche a rivolgersi ai genitori in modo più gentile, cosa fondamentale per l'inserimento sociale;
  • i complimenti: bisogna complimentarsi con un figlio solo se è stato veramente bravo, altrimenti potranno insorgere nel bambino una sfiducia nel giudizio dei suoi genitori. Lo scopo è quello di rinforzare solamente dei comportamenti che siano buoni e non gli sbagli, anche nel caso di bambini con sindrome di Down;
  • la fermezza: di fronte a un problema di comportamento del bambino con sindrome di Down i genitori dovranno accordarsi su una linea comune da tenere con fermezza ogni volta che si manifesta il comportamento inadeguato;
  • un passo per volta: è necessario curare gli aspetti legati all'insegnamento dell'autonomia e delle buone maniere, perché nel caso di un bambino con sindrome di Down, è maggiore il rischio che si determini nei confronti di qualsiasi apprendimento quell'atteggiamento passivo che i genitori chiamano pigrizia.
Attualmente in Italia 1 bambino su 1200 nasce con questa condizione. Grazie allo sviluppo della medicina la durata della loro vita si è allungata di molto, così che si può ora parlare di un'aspettativa di vita di 62 anni. Si stima che oggi in Italia vivano circa 38000persone con sindrome di Down delle quali il 61% ha più di 25 anni.

sabato 28 novembre 2009

verso l'autonomia


Nella crescita verso l'autonomia, un bambino disabile incontra due tipi di ostacoli: da un lato le difficoltà legate al suo deficit, dall'altro gli atteggiamenti di paura dell'ambiente circostante. Spesso i genitori sviluppano nei confronti del figlio disabile un atteggiamento assistenziale e protettivo che ne limita l'acquisizione di indipendenza. E' molto importante educare all'autonomia per lo sviluppo di una persona con handicap mentale e per il suo inserimento sociale. Gli studiosi hanno individuato cinque aree educative dove si trovano gli obiettivi per delineare un itinerario educativo nell'ambito dell'autonomia esterna:
  1. Orientamento: spesso una persona disabile è abituata ad essere guidata dai genitori. Ciò comporta una scarsa attenzione rispetto al percorso da fare e ai punti di riferimento. E' invece importante sapersi orientare per muoversi in modo autonomo. Bisognerà quindi imparare a leggere e seguire le indicazioni stradali, riconoscere le fermate degli autobus e individuare punti di riferimento.
  2. Comportamento stradale: fondamentale per l'autonomia è l'assunzione di comportamenti che permettono di muoversi da soli prestando attenzione alle macchine in arrivo e ai vari segnali pedonali. Troppo spesso le persone disabili, anche adulte, vengono tenute per mano dai loro accompagnatori che giustificano tale atteggiamento in termini di sicurezza e di affettività. Questa modalità va eliminata sia perché conferma la persona "bambino", ma anche perché impedisce al ragazzo di sentirsi pienamente autonomo. La rassicurazione affettiva può passare attraverso altre modalità come una pacca sulla spalla.
  3. Uso dei servizi e dei mezzi di trasporto: è importante riconoscere e usare adeguatamente i negozi e i servizi d'uso più comune; bisogna sapere individuare i negozi utili all'acquisto dei vari prodotti. Tra gli altri servizi è importante la conoscenza e l'uso dei principali uffici pubblici, come l'ufficio postale, ma anche i più comuni luoghi di divertimento, come i cinema, i fast-food, i bowling. Tra i servizi hanno un ruolo particolare i mezzi di trasporto rispetto ai quali bisogna sviluppare capacità di orientamento nello spazio e nel tempo.
  4. Uso del denaro: bisogna permettere ai ragazzi disabili di utilizzare il denaro per fare acquisti autonomamente. Questo vuol dire passare attraverso diverse fasi: capire il significato e l'uso del danaro, riconoscere i diversi tagli di banconote e monete, conteggiarli, leggere i prezzi, fornire il denaro richiesto e comprendere quanto si deve ricevere di resto.
  5. Comunicazione: uno dei primi passi verso l'autonomia è costituito dal possedere una buona capacità di comunicazione, cioè la possibilità di poter esprimere i propri bisogni, pensieri e desideri. Tutto questo può diventare difficile quando ci si muove all'esterno, fra estranei. E' perciò essenziale sviluppare la capacità di chiedere informazioni, spiegare che cosa si desidera nei negozi, saper dare i propri dati personali...

venerdì 20 novembre 2009

lo sport nelle persone disabili


Lo sport moderno inteso secondo i canoni olimpici, nasce nel secolo scorso come espressione di forza e di vigore, riferiti principalmente all'uomo giovane e sano. Nel nostro secolo la mentalità sportiva ha proggressivamente preso le distanze da questo stereotipo iniziale, per includere, prima di tutto, donne sportive poi gli atleti anziani e, infine i disabili. In base agli sport vengono individuate diverse categorie di disabilità:


  • amputazioni (perdita parziale o totale di almeno un arto)

  • cecità (da quella parziale a quella totale)

  • sedia a rotelle (atleti con danni alla spina dorsale)

  • ritardo mentale ( disabilità intellettive e limitazioni nel comportamento)

  • paralisi cerebrale (danni cerebrali non proggressivi per esempio ictus, lesioni cerebrali traumatiche che colpiscono il controllo muscolare, l'equilibrio e il coordinamento)

Alcuni sport praticabili da persone disabili sono: l'atletica leggera, tiro con l'arco, basket, nuoto, bocce. Nell'atletica leggera si suddividono gli atleti su sedia a rotelle, con lesioni alla spina dorsale, lesioni nervose, amputazioni, malformazioni congenite e atleti con handicap visivi, intellettuali, muscolo-scheletrici. Tiro con l'arco, invece, viene suddiviso in tre classi: tiro con l'arco in piedi per tutti quegli atleti che non possiedono alcuna disabilità agli arti superiori, ma ne mostrano alcune a quelli inferiori; tiro con l'arco con sedia a rotelle per tutti quegli atleti con disabilità agli arti superiori e inferiori e tiro con l'arco in sedia a rotelle per tutti quegli atleti paraplegici che possiedono modalità limitata negli arti inferiori. La pallacanestro in carrozzina riproduce in tutto e per tutto quella di una partita di pallacanestro per normodotati. Il basket in carrozzina è uno dei pichi sport per disabili che schiera contemporaneamente in campo atleti con diversi tipi di disabilità e diverso potenziale fisico. L'acqua è l'elemento migliore per far fare dell'attività motoria ai disabili. Questo perchè, quando un corpo è immerso nell'acqua, perde una percentuale di peso. Ciò si traduce per i disabili in un minore carico sulle parti lese e, di conseguenza, in una maggiore possiblità di movimento, riduzione del dolore e una postura più equilibrata. Lo stile preferito dai disabili è lo stile libero, anche se il più facile è lo stile dorso. Lo stile rana, invece, è il più difficile soprattutto per chi ha disabilità nelle gambe. Oltre a questi sport ce ne sono altri, i cosiddetti sport estremi come il volo libero per disabili, il quad e il paracadutismo.




il diritto all'istruzione


L'articolo 23 della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza impegna gli stati a garantire che anche i bambini disabili abbiano accesso all'educazione, alla formazione, alla preparazione al lavoro e alle attività ricreative. Esistono delle agevolazioni per i bambini disabili negli asili nido, nelle scuole materne, elementari, medie, superiori e università.


  • Gli asili nido sono garantiti a tutti i bambini disabili da 0 a 3 anni ed è compito degli enti locali delle unità sanitarie locali rendere un asili nido un ambiente ospitale per il bambino disabile al fine di rendere più veloce l'integrazione e la socializzazione del bambino. Inoltre ogni bambino deve essere affiancato da persone specializzate per ogni loro bisogno.

  • Nelle scuole materne i bambini disabili vengono affiancati da un'insegnante di sostegno e il numero di alunni in una classe con un bambino disabile non può superare i 20 alunni. In ogni classe deve essere presente solo un alunno disabile, tranne nel caso di handicap lievi.

  • Anche nelle scuole elementari i bambini disabili vengono affiancate da un'insegnante di sostegno, ma anche da materiali e attrezzature speciali. Qui, inoltre, viene introdotto il tema della programmazione educativa individualizzata per agevolare il diritto allo studio dei bambini disabili.

  • Nelle scuole medie i ragazzi disabili partecipano a progetti sperimentali insieme ai loro compagni, con il sostegno di un'insegnante. Per quanto riguarda la formazione delle clasi c'è una distinzione tra la prima classe e le classi successive: le prime classi devono essere costituite, di norma, da non più di 25 studenti, mentre le classi successive devono essere costituite da un minimo di 15 alunni. Se così non fosse le classi dovranno essere accorpate.

  • Con la sentenza della Corte Costituzionale viene riconosciuta la possibilità di frequenza di istituti superiori e corsi universitari da parte di ragazzi disabili, con alcune facilitazioni. Anche negli isituti superiori gli studenti disabili devono essere seguiti da un'insegnante di sostegno e le classi, di norma, sono costituite da non meno di 25 alunni. I criteri di valutazione si basano sulla valutazione secondo il piano educativo individuale, piano che può prevedere modifiche parziali dei contenuti dei programmi di alcune materie.

  • Le università, infine, devono garantire ai ragazzi disabili la programmazione di interventi adeguati ai bisogni e alle caratteristiche di ogni singolo studente. Bisogna personalizzare il piano di studi secondo le attitudini e le capacità specifiche. I servizi messi a disposizione degli atenei sono: accompagnamento, assistenza alla persona, interprete della lingua dei segni. accesso ai materiali didattici e trasporto.

La possibilità di partecipazione alle gite scolastiche di un alunno disabile è rimandata alla decisione del collegio docenti. Quest'ultimo deve indicare un accompagnatore e tutte le misure di sostegno necessarie. L'accompagnatore non deve essere necessariamente un insegnante, ma può essere qualunque membro della comunità scolastica, genitori compresi.


L'alunno disabile viene assistito da un'insegnante di sostegno. Questo deve seguire il gruppo di alunni a lui affidato durante tutto il percorso formativo effettuando la programmazione sulla didattica. L'insegnante di sostegno è contitolare della classe: ciò vuol dire che anche l'insegnante di ruolo è responsabile del progetto formativo individuale dell'alunno disabile. E' compito delle università quello di formare i futuri docenti di sostegno per le scuole di ogni grado e ordine. Infatti l'insegnante di sostegno deve possedere specifiche competenze ed essere in possesso di appositi titoli di specializzazione.


sabato 14 novembre 2009

il rispetto delle opinioni del bambino

E' un diritto di ogni bambino quello di far sentire la propria voce su problemi che lo riguardano perché è fondamentale per la comprensione che il bambino deve avere del suo ruolo e delle sue responsabilità. I bambini in generale, e soprattutto quelli disabili, vengono considerati vulnerabili e bisognosi di protezione, piuttosto che capaci di compiere scelte. Perciò, finché i genitori continuano a considerare i propri figli incapaci, saranno loro a prendere le decisioni al posto dei bambini. I bambini disabili con difficoltà di comunicazione sono tra i più isolati e giudicati non in grado di apprendere. Ai bambini sordi, invece, viene spesso negato il diritto di partecipare. Tuttavia, oggi, solo da poco i bambini disabili iniziano a venire inclusi. Esistono molti esempi di come bambini disabili siano in grado di comunicare i loro sentimenti e i loro punti di vista, mentre sono meno numerosi gli esempi di come gli adulti siano disposti ad ascoltare e agire sulla base di quei punti di vista.